Le Vie della Maschera

Le Vie della Maschera

Dopo l’Incanto, la Poesia.
All’origine di questa ricerca, che comprende il volume L’Incanto della Maschera e La Poesia della Maschera, c’è un’intuizione da studente di molti anni fa: “La maschera è il teatro”. Maschera e teatro costituiscono una sorta di sistema di vasi comunicanti attraverso i quali fluiscono liberamente i concetti di metamorfosi, di impersonazione e di finzione, nel senso etimologico di dare forma a una realtà altra; al punto che, se leggiamo questa breve frase al contrario, il significato non cambia: “Il teatro è la maschera”.

La maschera, tuttavia, nella visione comune, non è al centro dell’idea del fare teatro, anzi, come oggetto è assai desueto, se non del tutto assente, dalla pratica della scena moderna. Essa sembra appartenere piuttosto all’infanzia del teatro, come origine rituale e storica, ma anche e soprattutto all’infanzia dell’uomo, come simbolo primevo dell’impulso a fingere realtà.

Il bambino che, dopo i due anni, comincia a dire “si fa che io ero” o “si fa che questa scopa era un cavallo” – e va da sé che allora il salotto di casa diventa una prateria – maschera se stesso o il mondo che lo circonda, e lo fa fingendo, ovvero plasmando, a sua misura e nel gioco, una realtà che supera quella determinata in cui agisce per accedere alla dimensione universale e extratemporale dell’eroe che egli diventa mascherandosi.

Non si tratta dunque di comprendere le ragioni della presenza o dell’assenza dell’oggetto maschera o della sua scomparsa o ricomparsa in determinati periodi della storia del teatro, bensì di indagare per svelare alcuni misteri di questo prodotto della creatività umana, così potente da poter fare a meno perfino di se stesso e allo stesso tempo continuare ad esistere e a far sentire il suo effetto sull’ambiente condizionato dalla sua presenza.

Con la frase “si fa che io ero” il bambino istituisce una realtà mascherata alla quale tutti i partecipanti al gioco debbono e vogliono credere, ma, nella maggior parte dei casi, come nella scena moderna, tale maschera, in quanto oggetto, è assente. L’ingresso nella dimensione dell’artificio non risente minimamente di tale assenza. Il volto della nuova realtà fondata dalla finzione non viene per questo smascherato.

Sembra volto nudo ma non lo è, perché la sua uscita sulla scena lo ha trasformato in maschera. Quando Carmelo Bene, Vittorio Gassman o Tommaso Salvini restavano chiusi per più di due ore prima dello spettacolo in camerini dalla porta inviolabile, non ripassavano battute, indossavano maschere: si danno qui alcuni esempi del teatro di Carmelo Bene, di Eduardo e del Living Theatre, distanti tra loro ma uniti dalla consapevolezza che il teatro è maschera.

Non esiste dunque un teatro a volto nudo, perché anche il volto nudo è maschera. Da questa idea, condivisa fin dall’inizio con Fernando Mastropasqua, è nata l’esigenza di un’opera che conferisse alla maschera i connotati di un punto di vista attraverso il quale riesaminare i princìpi fondanti del fare teatro e le origini stesse delle nostre forme di spettacolo. Il progetto era quello di un manuale destinato agli studenti, soprattutto a quelli non abituati a questo genere di argomenti, che fosse anche un’antologia di fonti, di materiali iconografici non sempre facili da reperire o da avere sotto gli occhi contemporaneamente per trarne stimoli e formulare ipotesi.

La maschera, in questo contesto, diventa una prospettiva di indagine, attraverso la quale gettare uno sguardo, il più possibile libero da preconcetti, che possa tener conto dei molteplici legami nascosti che la nostra cultura “delle origini”, cioè quella greca, intrattiene con altre culture nostre contemporanee e tuttavia lontane da quella dell’Occidente.

Ed è proprio la maschera, in quanto denominatore comune ai Greci antichi come agli “Antichi” moderni, a gettare una nuova luce sul linguaggio della scena greca.